La ricerca del senso
Fin da piccolo, Lorenzo Gerletti ha coltivato il suo talento per il disegno con la curiosità di chi esplora nuovi orizzonti. Nel tempo, ha affinato la sua espressione artistica attraverso la pittura e la stampa d’arte, due tecniche che gli consentono di trasmettere la sua visione del mondo. Il suo lavoro è una ricerca di senso e di identità, una testimonianza della sua vita e della sua arte.
PRESENTAZIONE
-Allora… raccontaci un po’ da dove vieni, chi sei, quanti anni hai?
Mi chiamo lorenzo gerletti, ho 28 anni e sono nato e cresciuto a Milano, città dove vivo e lavoro attualmente. Mio padre è piemontese e mia madre di Salerno (città alla quale mi sento molto legato) quindi diciamo che mi sento un po’ un milanese adottato.
-Di cosa ti occupi?
Questa è una domanda un po’ difficile, diciamo che sono un artista e un imprenditore, o viceversa, a volte non riesco a capire quale dei due aspetti della mia vita prevale sull’altro.
In ogni caso, oltre alla pittura, gestisco da 6 anni un laboratorio di stampa d’arte a Milano (Veryseri lab), e sto cercando di rendere questa attività il mio lavoro, perché credo che l’idea di crearsi un reddito con la propria arte, sia un qualcosa che influisca negativamente sulla creatività dell’artista, e non credo sia giusto.
Diciamo in maniera semplice che non voglio intaccare ciò che creo con l’idea di mercificazione che il mercato dell’arte contemporanea vive oggi, ma metterla in luce attraverso processi culturali e sinceri.
INTERESSI
-Ti piace la musica? Hai un cantante, gruppo preferito?
Moltissimo, è il mio secondo tipo di arte preferita, infatti suono spesso e volentieri e trovo che sia un ottimo modo per creare un flusso di pensiero creativo di supporto alla pittura.
Sarebbe difficile indicarne uno solo, però diciamo che sono una grande fan del rap, del reggae e della musica classica.
-Un film che secondo te tutti dovrebbero vedere?
Il sale della terra.
-Qual è la forma d’arte che preferisci? (da andare a vedere/ a cui assistere: fotografia, pittura, scultura, performance, ecc.) C’è un artista contemporaneo che consideri assoluto o che sia una fonte d’ispirazione?
Da sempre ho amato la pittura più di tutte le altre forme d’arte. Ma il giorno in cui ho conosciuto la stampa d’arte, un mondo infinito, fatto di lastre, incisioni e disegni, ha preso un posto speciale nel mio cuore e nel mio pensiero artistico.
Ce ne sarebbero molti da indicare, ma poiché da poco ho finito un corso di un anno in una scuola di pittura non posso che citare il mio maestro Alex Folla, dal quale ho imparato tantissimo.
-C’è un momento della giornata che ti piace particolarmente?
Adoro la pace che c’è tra le 6 e le 7 del mattino a Milano, ha qualcosa di incredibilmente surreale.
Anche se ogni giorno aspetto sempre la sera, perché è il momento in cui riesco a staccare la spina da tutto e posso iniziare a dipingere.
LAVORO
-Come nasce il tuo interesse per la ricerca artistica? Da dove ti è venuta l’idea e come ci sei arrivata\o?
Da quando sono piccolo o almeno da quando ne ho memoria, ho sempre amato l’arte. Ho un ricordo molto potente di quando ero piccolino, stavo disegnando in camera mia, e ho iniziato a ricopiare il disegno di un cartone animato. Dopo averlo finito mi sono reso conto con estremo stupore che era praticamente identico a quello che avevo di riferimento. In quel momento ho sentito qualcosa, quasi una scintilla di furore e orgoglio, per essere stato in grado di creare qualcosa del genere.
Credo di ricordarmi così bene que momento, perché sono gli stessi brividi e sensazioni che ho continuato a provare negli anni ogni volta che mi mettevo con le mani sui colori.
Nel tempo durante l’adolescenza, crescendo e studiando, ho iniziato a chiedermi il senso della vita, in maniera profonda e sistematica; ovviamente non ho trovato nessuna risposta ed ho iniziato a sentire un’enorme oppressione nello stomaco.
Li ho capito di avere dentro una paura profonda, la paura della morte, la paura che tutto quello che viviamo non abbia nessun tipo di senso o significato, l’idea che la vita di un essere umano possa essere talmente futile da scomparire in un battito di ciglia dell’universo.
E da lì che sono partito, ho rifiutato e rifiuto tutt’ora queste idee perché ho deciso che l’arte sarà il tramite attraverso il quale potrò vivere per sempre e dare un senso alla vita che mi è stata donata.
-Un’emozione che sapresti nominare mentre lavori?
Spesso pace e tranquillità, a volte rabbia e foga creativa, tristezza, ansia, superbia. Dipende da momenti e dipinti, ma è un ottimo sfogo verso la vita.
-Che cosa sentivi necessario: fare qualcosa di diverso, oppure andare oltre? Avevi un’idea chiara di quello che bisognava fare?
Il giorno che ho deciso di intraprendere veramente questo percorso, quindi a 21 anni, quando mi sono iscritto all’accademia di Brera. Ho iniziato questo percorso consapevole delle difficoltà che avrei trovato. Consapevole che ci sarebbero sempre stati artisti più bravi di me e che la competizione sarebbe stata tragicamente spietata, per arrivare in alto almeno.
E allora ho iniziato già correndo, senza sapere bene la meta, ma cercando di essere sempre il migliore in quello che facevo. Nel tempo ho capito tante cose sull’arte e sulla vita. Gli obbiettivi sono cambiati e le idee si sono evolute, ma sto ancora correndo senza fiato, perché so che prima o poi arriverò da qualche parte.
-Prima di cominciare a lavorare hai già chiara l’idea di come sarà il tuo lavoro? Oppure è quando cominci che hai un’idea di quello che farai?
Dipende, molto spesso no, ma è qualcosa a cui sto lavorando.
Fino ad ora, il mio percorso pittorico è stato una ricerca stilistica e tecnica, per arrivare ad un punto in cui fossi soddisfatto dei miei dipinti. Credo nell’ultimo anno di aver raggiunto un certo grado di consapevolezza rispetto a quello che voglio fare e ciò che mi riesce effettivamente sulla tela.
Forse è arrivato il momento di iniziare a trovare anche una struttura per creare delle serie e dei bozzetti con un po’ più di senso rispetto alla sola espressione personale che mi ha caratterizzato fin qui.
-Che ruolo svolgono i titoli per te? E quando li assegni? Di solito i titoli vengono prima o dopo che hai finito il tuo lavoro?
Onestamente li odio abbastanza. Li assegno quasi sempre al momento in cui li sto documentando all’interno del mio portfolio. Credo che molto spesso le parole siano superflue quando la pittura è in grado di parlare per se.
-Quand’è che senti che un lavoro è finito?
Quando sono soddisfatto della resa, spesso per finire un quadro bisogna trovare la linea sottile che unisce colori, composizione ed equilibrio stilistico.
-Ti capita di doverti fermare mentre stai lavorando, perché non hai in casa il tipo di pezzo o di materiale che ti serve ?oppure di dover aspettare finché non lo trovi?
No raramente, diciamo che sono molto bravo a trovare soluzioni “artistiche”, e spesso la foga creativa vince su tutto.
-Quale lavoro secondo te funziona di più rispetto agli altri?
Credo gli ultimi che sto creando, mi sento molto vicino all’inizio di un percorso pittorico in grado di esprimere tutto ciò che l’arte dovrebbe essere per me.
-Raccontaci come nasce un tuo lavoro. Parti da un’idea, una sensazione o che altro?
Ogni mio quadro nasce dall’idea che l’arte sia un tramite attraverso il quale lo spettatore possa elevare il suo spirito ad una coscienza superiore, e perdersi, almeno per un attimo, nella fruizione di un mondo esterno, in grado di eliminare anche se per pochi istanti l’oppressione, la crudezza e la noia della vita. Quindi diciamo che cerco di partire da questo sentimento in ogni cosa che faccio.
-Hai fatto un percorso all’accademia di Belle Arti; come descriveresti questo viaggio, come ti sei trovata? Immaginiamo che questo percorso ti abbia lasciato qualcosa, degli strumenti di lavoro che utilizzi o delle influenze particolari.
Si ho frequentato l’accademia di Brera, e per quanto avessi sempre voluto fare il pittore, alla fine mi sono iscritto al corso di Grafica d’arte, e per fortuna, perché il giorno che ho scoperto la grafica d’arte è stato il giorno in cui un po’ mi è cambiata la vita.
Ho iniziato a studiarla e praticarla con la curiosità di un bambino, mi sono appassionato così tanto che nel giro di anno in accademia avevo già attrezzato uno studiolo in casa mia per realizzare autonomamente la maggior parte dei processi di lavorazione delle lastre.
Da questa passione quasi naturalmente mi sono ritrovato a gestire una piccola attività di stampa con compagni di università e amici, che si è trasformata nella realtà che è oggi.
Quindi diciamo che l’accademia ha fatto di me la persona che sono oggi, aprendomi una finestra su un mondo che ho deciso di far conoscere a tutti, quello della stampa e dell’incisione.
-Qual è il tuo lavoro che finora è stato più apprezzato? E quale quello che tu preferisci?
Non saprei dire, ma ultimamente ogni quadro che finisco finisce per diventare quello.
INTERAZIONE CON IL MONDO ESTERNO
-I social sono ormai una piattaforma indispensabile per pubblicare i propri lavori ed essere conosciuti; tu come vivi questa dimensione, e soprattutto, quanto la reputi importante per ciò che fai?
L’ho sempre trovata superflua e superficializzante. Col tempo ho dovuto studiarli a capirli, e sono sceso a patti con loro diciamo, consapevole che sono un mezzo strettamente necessario per farcela oggi.
Ma solo per quanto riguarda il lato della comunicazione, perché dal punto di vista estetico non sono assolutamente un metro di giudizio e anzi spesso sviliscono e sminuiscono tanti artisti in divenire, che non riuscendo ad avere i feedback corretti da queste piattaforme, o inquinano la loro estetica per risultare più “instagrammabili”, o rimangono dimenticati nella loro nicchia.
-Sei stato a Milano, come ha influito su di te questa città? Il luogo in cui ti trovi ha un’influenza su di te e su ciò che produci?
Avendo sempre vissuto qui, posso dire che sicuramente ha influenzato il mio modo di essere artista, forse proprio attraverso l’idea che trasmette questa città, della possibilità di creare un proprio business legato alle proprie passioni.
Quello che sicuramente Milano fa, è amplificare le mie sensazioni di oppressione e apnea, che mi dà la spinta necessaria a non smettere mai di correre, consapevole di avere tutto nelle mie mani. E credo che questo pensiero ed attitudine ha preso sempre più importanza e spazio all’interno dei miei quadri.
-Quali sono i tuoi prossimi obbiettivi e progetti?
Il mio grande progetto come dicevo è Veryseri lab: stiamo lavorando con il mio team per farla diventare un’attività a tutti gli effetti, in grado di darci un futuro all’interno del mondo dell’arte contemporanea.
Abbiamo grandi idee e progetti di attività e divulgazione del mondo dell’arte e della stampa, ma penso che servirebbe un’intervista a parte per raccontare tutto ciò che c’è dietro a questo progetto.
-Quali sono i progetti che non sei ancora riuscito a realizzare?
Ancora non sono riuscito a realizzare la mia prima mostra personale, perché vorrei organizzarla in totale autonomia, senza influenze o limitazioni, per riuscire a trasmettere in maniera pura il mio messaggio artistico.
-Cosa significa per te essere artisti oggi?
Vuol dire tutto e niente, credo che si tenda a definire gli artisti secondo canoni che non esistono più, e nella società di oggi, nessuno ha ben chiaro chi sia un’artista ma né soprattutto di che cosa dovrebbe occuparsi.
Credo sia una questione di definizione sociale che si risolverà con il tempo, ma spero di poter contribuire a trovare una definizione nuova e più sincera.
-Infine, ci indicheresti due giovani artisti che stimi ed ammiri che frequentano/hanno frequentato l’Accademia di Brera?
Tiziano Crisanti e Stefano Ferrari.
Ringraziamo Lorenzo Gerletti per aver risposto alle nostre domande, potete continuare a seguirlo sul suo profilo Instagram.
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