Mai Gurewitz

La trasformazione del dolore

Mai Gurewitz è una giovane pittrice israeliana che trasforma il dolore in bellezza. Dopo aver superato il suo grave disturbo alimentare, la sua arte riflette la sua lotta interiore tra fragilità e coraggio. Con i suoi dipinti, vuole comunicare un messaggio di speranza a chi ha vissuto esperienze simili alla sua.

PRESENTAZIONE


-Allora… raccontaci un po’ da dove vieni, chi sei, quanti anni hai?
Sono nata nel 1999 e cresciuta in Israele in una casa legata all’arte. Mia madre è un architetto e mia nonna e mia zia sono pittrici che hanno infuso in me curiosità e una grande passione per la creazione fin dalla giovane età.

-Di cosa ti occupi?
In questo momento non lavoro granche’ perché non ho molto tempo, prima di partire ho risparmiato del denaro. In questo momento a volte vendo i miei quadri, che non fanno parte della mia serie Bone-deep, perché vorrei conservarli per fare una mostra personale incentrata su di essi, prima di venderli. Ogni tanto faccio anche la grafica come freelancer.

Mai Gurewitz, The Scream, 2022

INTERESSI


-Quali sono i tuoi interessi? Hobby, passioni, sentimenti a cui ti senti connesso?
L’arte e la pittura sono la mia vita, è tutto ciò che faccio. Oltre a questo mi piace molto lo sport, mi alleno quasi ogni giorni. Sento che gli artisti dovrebbero fare cose che supportano la loro anima e il loro fisico. Inoltre per me, lo sport offre un’altra strada per entrare in contatto con me stesso e sperimentare un profondo benessere.

-Qual è la forma d’arte che preferisci? (da andare a vedere/ a cui assistere: fotografia, pittura, scultura, performance, ecc..) C’è un artista contemporaneo che consideri assoluto o che sia una fonte d’ispirazione?
Amo assolutamente la pittura, ma la performance art è davvero affascinante per me. Anche se non mi connetto personalmente con una particolare creazione, riesce costantemente a sorprendermi e a stimolare i miei pensieri. A mio parere, una delle qualità distintive dell’arte è che lascia un impatto duraturo, sia che evochi pensieri, susciti emozioni o rompa la barriera dell’indifferenza che, purtroppo, a volte provo con dipinti e sculture. Ma sai, niente è meglio di un buon dipinto.

-C’è un momento della giornata che ti piace particolarmente?
Non ho un momento particolare che si distingue. Durante il giorno, mi piace raccogliere varie cose, idee e pensieri dalle mie esperienze quotidiane. Che si tratti di annotarli o di lasciarli filtrare nella mia mente, questi momenti servono come base per idee creative. Poi, quando ho momenti per me, come di notte, li approfondisco, permettendo a nuove idee di prendere forma. Dipingo invece solo con la luce del sole di giorno, ho provato tante lampade e diversi tipi di illuminazione ma preferisco in assoluto la luce diurna, perché è diversa, i colori sono più vividi e realistici e hanno una percezione diversa.

Mai Gurewitz

LAVORO

-Come nasce il tuo interesse per l’arte?

L’arte era solo un hobby per me fino al mio arrivo in Italia. Era qualcosa che facevo solo nel mio limitato tempo libero. Ero una nuotatrice sincronizzata professionista nella squadra nazionale, e quella è stata tutta la mia vita fino all’ultimo anno di liceo. La mia routine prevedeva lunghe ore di allenamento ogni giorno

La mia giornata iniziava presto in piscina, andavo a scuola, poi andavo direttamente a un’altra sessione di allenamento, tornavo a casa la sera, per poi studiare fino a tarda notte e ripetere tutto questo ancora e ancora. C’erano lunghi periodi di tempo in cui non avevo tempo per altre attività o per una vita sociale. Tutto questo ha richiesto molti sacrifici, ma ha anche sviluppato in me molta indipendenza e autodisciplina, doti che senza dubbio continuano ad avvantaggiarmi oggi nel campo dell’arte e della creazione.

-Da dove ti è venuta l’idea e come ci sei arrivata\o?
Ho sempre avuto due poli dentro di me – oltre al lato artistico, sono anche molto razionale. Al liceo ho studiato chimica e matematica al massimo livello (in Israele il sistema educativo funziona in modo diverso) e in qualche modo, anche se ero molto malata, sono riuscita a finire la scuola con buoni voti. Avevo frequentato a malapena la scuola nel mio ultimo anno; invece, andavo molto spesso nello studio d’arte di mia zia nel nord di Israele. Era un momento in cui potevo staccare da tutto e fare semplicemente ciò che mi veniva più naturale: dipingere.


-Un’emozione che sapresti nominare mentre lavori?
La creazione di dipinti realistici può essere un processo che richiede tempo, spesso dura diverse ore o addirittura mesi. Di conseguenza, non sempre mi ritrovo immersa nelle precise emozioni che intendo ritrarre, il che in realtà è una fortuna. Di solito dipingo molte ore al giorno, indipendentemente dal fatto che il mio stato d’animo coincida con il soggetto rappresentato.

Mai Gurewitz, Untitled, 2023

-Prima di cominciare a lavorare hai già chiara l’idea di come sarà il tuo lavoro?
Oppure è quando cominci che hai un’idea di quello che farai?

Il quadro che considero il mio primo è quello che ho realizzato durante il mio primo anno a Milano, durante il lockdown. Raffigura una mano che tiene una coscia e rappresenta una visione che ho avuto per anni. Era l’unico che non fosse spontaneo. Il resto delle mie immagini le create spontaneamente e immediatamente da situazioni che incontro nella mia vita quotidiana. Non lavoro con gli schizzi. Quando provo semplicemente una forte emozione o una connessione con un momento, mi viene in mente una visione. Scatto velocemente alcune foto, ci gioco con Photoshop e poi le trasferisco su tela.

-Che ruolo svolgono i titoli per te? E quando li assegni? Di solito i titoli vengono prima o dopo che hai finito il tuo lavoro?
Preferisco lasciare molte delle mie opere senza titolo perché il titolo ha un grande significato per me. Se non riesco a trovare un titolo che catturi accuratamente l’emozione desiderata, scelgo di lasciarlo vuoto per mantenere l’equilibrio e l’integrità del suo significato.

-Quand’è che senti che un lavoro è finito?
A causa della mia natura perfezionista, trovo difficile pubblicare un dipinto. In genere, il dipinto e’ finito quando mi ritrovo a rendermi conto che ogni pennellata danneggia solo il dipinto o che non sono più in grado di guardare il dipinto. Un mio amico ama ricordarmi la volta in cui mi ha chiesto perché il cavalletto fosse rivolto verso il muro, e io gli ho risposto con la massima serietà che io e il quadro stavamo  attraversando un brutto momento e non mi interessava guardarlo nel prossimo futuro.

Mai Gurewitz, Untitled, 2022

-Qual è un tuo lavoro che preferisci?
Ogni dipinto ha un significato unico per me, poiché la mia connessione con loro è una miscela di soddisfazione estetica e la misura in cui catturano l’essenza del mio io interiore. Tuttavia, se dovessi sceglierne uno, sarebbe il quadro con la doccia. Questo lavoro ha segnato una svolta significativa per me, quando ho iniziato a esplorare nuove espressioni visive. Il mio professore ha commentato che i miei dipinti apparivano generici, privi di differenziazione dalle opere classiche.

Secondo lui, i miei dipinti sono noiosi perché non c’è scopo nel creare arte che esiste già. Anche se non sono completamente d’accordo con la sua affermazione, ho riflettuto sulle sue parole e ho permesso loro di sfidare la mia direzione artistica. Dopo tutto, i soggetti che ritraggo differiscono significativamente da quelli che si trovano nei dipinti classici, l’inclusione del realismo e della nudità in un dipinto non lo classifica automaticamente come classico ,e tali rappresentazioni di donne si trovavano appena nei classici. Tuttavia, la sua critica ha agito da catalizzatore, alimentando la mia determinazione a produrre qualcosa di veramente distinto e innovativo.

-Raccontaci come nasce un tuo lavoro. Parti da un’idea, una sensazione o che altro?
In passato facevo cose più tecniche, come copiare ritratti. Ma onestamente, quando ho dipinto un ritratto di Mac Miller, non mi sembrava di creare arte, non importa quanto fosse realistico. È difficile per me individuare esattamente ciò che ha influenzato la mia creazione, ma trasferirmi qui mi ha cambiato in tanti modi. Mi conosco molto meglio adesso. Il dipinto finito è solo l’ultimo passo di un lungo processo. È un modo per me di esprimere tutte queste domande, pensieri, sentimenti profondi ed emozioni che non riesco a esprimere a parole. Il mio processo creativo inizia dall’interno e si estende verso l’esterno.

All’inizio, è stato difficile per me mettermi in gioco, essere vulnerabile. È come far qualcosa uscire da un armadio, una volta che lo fai uscire, c’è un senso di sollievo. Nel campo della psicologia New Wave, c’è un approccio cognitivo-comportamentale ,che definisce il disturbo emotivo come un evitare le emozioni. Quindi, la soluzione è semplicemente permettere a te stesso di sentire, riconoscere che sentirsi male non è un difetto e non aver paura di affrontare il dolore e il trauma. Questo è esattamente il modo in cui, attraverso l’arte, riconosco e abbraccio queste emozioni, non sopprimendole ,ma permettendo loro di essere presenti, e alla fine rilasciandole.

Attraverso la creazione della mia ultima serie, Bone- Deep, offro un’onesta testimonianza del potenziale trasformativo dell’arte e della resilienza umana di fronte alle avversità. In tal modo, miro anche a sottolineare il ruolo dell’arte come spazio per l’identificazione, la comprensione e il conforto

Mai Gurewitz, Untitled, 2022


-Quali sono le tue ispirazioni? E le tue motivazioni?
La mia ispirazione viene dall’interno verso l’esterno, attraverso la mia pittura mi sento come se stessi lasciando uscire le cose e io mi stessi mettendo fuori. Ho bisogno di riconoscere il brutto periodo della mia vita e di non ignorarlo e lasciarlo uscire. Attraverso la creazione di Bone-deep, offro un’onesta testimonianza del potenziale di trasformazione dell’arte e della resilienza umana di fronte alle avversità. In tal modo, intendo evidenziare il ruolo dell’arte come spazio di identificazione, comprensione e conforto.


-Cos’e’ per te la tua arte?
L’arte è il mio tutto, definisce chi sono e dà uno scopo alla mia vita. È la forma di espressione più autentica e potente, uno stato meditativo che mi permette di immergermi completamente. Mi sento incredibilmente fortunata ad essere circondata da così tanta arte, che sia quella musica che vibra con la mia anima o il cibo che mi dà gioia.


-Hai fatto un percorso all’accademia di Belle Arti; come descriveresti questo viaggio, come ti sei trovata? Immaginiamo che questo percorso ti abbia lasciato qualcosa, degli strumenti di lavoro che utilizzi o delle influenze particolari.
Se mi chiedessi cosa amo di più dello studiare a Brera, è l’atmosfera, le discussioni profonde sull’arte, la sensazione che l’arte detenga una posizione venerata e abbia legittimità. Sono circondata da persone di talento che creano con passione, ma mi sfidano anche a riflettere profondamente. Non avevo mai provato niente di simile prima. Ad essere onesta, non mi sembra di aver ricevuto un’abbondanza di strumenti tecnici all’accademia.

Sono per lo più autodidatta e le mie capacità si sono sviluppate prevalentemente attraverso l’osservazione ravvicinata di opere d’arte classiche, social media e, soprattutto, dedicando innumerevoli ore alla pratica. Sento che la vita qui in Italia mi colpisce più dell’Accademia.

L’arte e la cultura sono ovunque qui. In Israele si tratta solo di matematica e denaro, l’arte non è realmente riconosciuta come un lavoro ma più come un hobby. Mi piace davvero vivere qui perché mi sembra più legittimo. Ad esempio in Accademia quando vedo artisti mi dà ispirazione. L’ambiente, l’atmosfera è quello che mi piace davvero. Mi piace che ci siano persone con cui posso parlare di arte.

Mai Gurewitz, Untitled, 2022


Dato il tuo forte passato con la malattia , come ti senti in questo momento come individuo che ha sofferto di disturbi alimentari e come percepisci la tua arte. Pensi che l’arte possa essere un modo per uscire dalla malattia?
Penso che sia molto individuale, ognuno ha un modo diverso di esprimersi e di lasciare andare le cose, ad esempio per uno potrebbe essere ballare, per gli altri scrivere, quindi penso che sia molto importante farlo uscire e non tenerlo dentro, è molto liberatorio. Inoltre, penso che sia una cosa molto importante da fare, ma non credo che tutti coloro che soffrono di disturbi alimentari dovrebbero dipingere, potrebbe essere utile se è il modo in cui ti esprimi.

-Hai fatto fatica con l’espressione di te stessa attraverso l’arte?
Quando creavo qualcosa non era come un modo di esprimermi per me, ma più come terapia e distrazione. È stato difficile per me esprimermi in generale durante quel periodo, indipendentemente dall’arte. Quando stavo male sentivo che nessuno poteva davvero capirmi, ero molto depressa perché percepivo che i miei genitori non mi capivano, mi sentivo sola ed era molto difficile.

In quei momenti e’ come essere in un buco nero, anche ora quando condivido i miei quadri , parlo ad altre persone e quando ricevo messaggi da persone che lo sentono davvero, quei momenti mi rendono felice perché posso aiutare le persone a sentire che non sono sole e che qualcuno può comprenderle. Per esempio una persona stava lottando perché sua figlia era in ospedale ,piangeva quando ha visto i miei quadri aiutarli nella loro sofferenza mi ha gratificato molto.


-Pensi che ci sia stato un momento che ha dato inizio alla tua malattia?
È difficile individuare un singolo momento, anzi, è stato il culmine di vari fattori. Fin da piccola ho valorizzato la mia indipendenza e trasmesso la mia capacità di gestire le cose da sola, fino ad ora, infatti, attribuisco grande importanza alla mia privacy e al mio spazio personale, che inavvertitamente ha permesso che questioni irrisolte si accumulassero dentro di me, inosservate dagli altri.


-C’è qualcosa che vorresti esprimere, un messaggio ad altre persone che soffrono di disturbi alimentari o altre malattie,
in cui stanno lottando?
Non mollare. Ho avuto delle volte in cui ho perso i sensi e sono svenuta, ero in un posto molto brutto, mi sentivo come se la mia vita fosse niente, non riuscivo a vedere cose buone o il mio futuro ma è stato come un punto di svolta, ho trovato poche piccole cose come il valore in me stessa. In Israele 2 giorni fa una persona famosa è morta di disturbi alimentari, ha lottato molto e tutti i media sono stati dietro questa storia per più di 10 anni. Penso che sia stato uno scioccante campanello d’allarme per le persone che hanno a che fare con disturbi alimentari, ma allo stesso tempo è fondamentale fornire un esempio di speranza che dimostri la possibilità di superarlo.

Questo è uno dei motivi per cui sto condividendo la mia storia. Il messaggio è di non arrendersi, per esempio :se mi chiedeste se mi sarei vista qui a Milano 5 anni fa, la risposta è no. Credi solo in te stesso e nel tuo futuro, perché sei tu quello che lo definisce.

Mai Gurewitz, Untitled, 2022

INTERAZIONE COL MONDO ESTERNO


-I social sono ormai una piattaforma indispensabile per pubblicare i propri lavori ed essere conosciuto; tu come vivi questa dimensione, e soprattutto, quanto la reputi importante per ciò che fai?

Condividere i miei dipinti sui social media è come rilasciarli nel mondo, non do molta importanza alle opinioni degli altri. In effetti, fare affidamento su un feedback positivo è anche peggio che fare affidamento su un feedback negativo. Ricordo sempre a me stessa che la mia autodefinizione non è influenzata dal giudizio esterno, e fintanto che sono soddisfatta delle mie azioni, questo è ciò che conta davvero.

Avere a che fare con i social media non è la cosa che preferisco, ma è diventata una presenza significativa che non posso ignorare. C’è sempre la sensazione persistente di non condividere abbastanza, ed è difficile trovare il giusto equilibrio tra mantenere un profilo professionale per la mia net art e offrire scorci nella mia vita quotidiana, che è strettamente connessa con l’arte che creo.


-Sei stata a Milano, come ha influito su di te questa città? Pensi che il luogo in cui ti trovi abbia un’influenza su di te e su ciò che produci?
A volte mi è stato detto che avrei dovuto sviluppare questa abilità, ma il mio lato razionale ha sempre messo da parte tali commenti. Ho preso la decisione di studiare industrial design al Politecnico di Milano e nel giro di un mese e mezzo mi sono ritrovata all’aeroporto di Malpensa con tre valigie e assolutamente senza sapere cosa stessi facendo. Ma in qualche modo, mi sembrava giusto. Era il culmine della pandemia, capodanno, nevicava, sono arrivata in Italia senza conoscere anima viva, e sentendomi come se stessi intraprendendo un nuovo ed eccitante capitolo, vivendo il mio sogno.Fino a questo punto, molto pittoresco e romantico, sfortunatamente molto rapidamente l’atmosfera si è trasformata in una apocalittica.

Con un vocabolario appena sufficiente per ordinare un caffè, mi sono iscritta a un corso intensivo di italiano come preparazione ai miei studi universitari, che sono in italiano. È stato un lungo periodo di lockdown totale, tutti confinati nelle proprie case, e io non avevo ancora avuto modo di vedere il Duomo. Trascorrevo le mie giornate studiando l’italiano, facendo esercizi a casa e dipingendo, cosa che aveva fatto un drammatico ritorno nella mia vita.A poco a poco la città ha iniziato ad aprirsi, mi sono ritrovata a cogliere ogni opportunità per vagare tra gallerie e musei, come un bambino che scopre un mondo completamente nuovo.

Era un netto contrasto con la realtà in Israele; un paese giovane dove le persone vivono in modalità sopravvivenza, dal passato al presente. Per sua natura, l’approccio in Israele è molto più pragmatico, concentrandosi su denaro e sicurezza, mentre la cultura e l’arte sono considerate lussi. L’Italia, invece, è tutta un’altra storia. Con una semplice passeggiata lungo la strada, sei avvolto in un abbraccio a 360 gradi di arte, architettura, mura ricche di storia e una cultura profondamente amata. Potrei sembrare un fanatico entusiasta per alcuni italiani che leggono questo, ma è davvero inspiegabile.


-Hai dei progetti che non sei ancora riuscito a realizzare?
Sì, ho così tante idee salvate nel mio taccuino e nella mia testa. Ma prima di poterci lavorare, mi sento come se dovessi finire la serie su cui sto attualmente lavorando. A volte voglio usare colori diversi nelle mie opere d’arte, renderle più vibranti o esprimere emozioni più felici come gioia, amore e desiderio. Tuttavia, non posso dedicare troppo tempo a questo in questo momento.


-Cosa significa per te essere artisti oggi?
Essere un’artista oggi è qualcosa per cui mi considero fortunata. Gli artisti hanno la possibilità di esprimersi in modo autentico e approfondire l’esperienza umana, affrontando questioni sociali, lotte personali ed emozioni che sono spesso difficili da esprimere a parole. Quelli davvero bravi fungono da osservatori e commentatori, provocando pensieri, suscitando emozioni e rompendo le barriere dell’indifferenza. Gli artisti hanno anche la capacità di creare esperienze trasformative attraverso il loro lavoro, offrendo spazi per l’identificazione, la comprensione e il conforto.

L’arte è una potente forma di espressione che detiene una posizione venerata nella società, consentendo alle persone di esplorare la propria creatività, sfidare il pensiero convenzionale e contribuire al panorama culturale. Gli artisti oggi continuano a spingere i confini, ispirare il cambiamento e lasciare un impatto duraturo sia sul mondo dell’arte che sulla società nel suo insieme. Penso che fantastico.


-Infine, ci indicheresti tre giovani artisti che stimi ed ammiri che frequentano/hanno frequentato l’Accademia di Brera?
Indico :Vanessa Beecroft, Giuseppe Gabellone, Shimizu Tetsuro.


Ringraziamo Mai Gurewitz per aver risposto alle nostre domande, potete continuare a seguirla sul suo profilo Instagram, oppure consultate il suo sito personale.

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