Il disegno come forma espressiva
Fabiana Rosata divide la sua sperimentazione tra l’amore per il disegno e l’attività artigianale in atelier. Il disegno funge da forma espressiva e la creazione di abiti cerca di comunicare un certo tipo di consumismo. Attraverso un linguaggio leggero, Fabiana tenta di raccontare la crisi climatica odierna e di dare voce, nei vari progetti artistici, al suo impegno politico-ecologico.
PRESENTAZIONE
-Allora… raccontaci un po’ da dove vieni, chi sei, quanti anni hai?
Mi chiamo Fabiana Rosata, sono nata e cresciuta a Milano.
-Di cosa ti occupi?
In questo momento storico mi occupo di disegnare e di far rinascere la mia attività artigianale in atelier, dove insegno modellistica e cucito.
INTERESSI
-Ti piace la musica? Hai un cantante, gruppo preferito?
Amo tanto la musica, suono fin da quando ero bambina e, a dispetto del poco tempo a disposizione, sono riuscita a mantenerla come parte integrante della mia vita.
-Qual è la forma d’arte che preferisci? (da andare a vedere/ a cui assistere: fotografia, pittura, scultura, performance, ecc..) C’è un artista contemporaneo che consideri assoluto o che sia una fonte d’ispirazione?
Le mie forme d’arte preferite sono il disegno e la pittura. Mi occupo ormai da qualche anno anche di lavoro artigianale, indubbiamente utile in un’epoca che ci chiede di correre e consumare senza riflettere troppo sulle conseguenze. Le capacità manuali mi permettono di affrancarmi da un certo tipo di consumismo e di creare abiti sostenibili come piacciono a me e a chi frequenta l’atelier. E’ una grande soddisfazione; il disegno però, con la sua immediata sincerità, rimane di gran lunga la mia forma espressiva preferita.
-C’è un momento della giornata che ti piace particolarmente?
Nonostante spesso e volentieri sia molto difficile avviare la giornata, il mio momento preferito è il mattino, immancabilmente costellato da numerose tazze di caffè.
LAVORO
-Come nasce il tuo interesse per la ricerca artistica?
Ho avuto la fortuna di crescere con una nonna pittrice che mi ha sempre trascinata in giro a osservare le cose con lo sguardo dell’artista. Probabilmente è tutto nato così e le sono grata ogni giorno.
-Da dove ti è venuta l’idea e come ci sei arrivata?
Ci ho girato attorno per anni: ho fatto il liceo classico, ho iniziato l’università studiando materie umanistiche ma ad un certo punto un mio amico mi ha portata ad una lezione di anatomia a Brera e ho capito che lì sarei stata bene.
-Un’emozione che sapresti nominare mentre lavori?
E’ molto difficile rispondere a questa domanda. In genere c’è un mix di ansia, frustrazione, felicità, entusiasmo.
-Che cosa sentivi necessario: fare qualcosa di diverso, oppure andare oltre? Avevi un’idea chiara di quello che bisognava fare?
Non avevo la più pallida idea di cosa stavo facendo e questa sensazione si ripresenta ciclicamente.
-Prima di cominciare a lavorare hai già chiara l’idea di come sarà il tuo lavoro? Oppure è quando cominci che hai un’idea di quello che farai?
In genere progetto a lungo un lavoro prima di iniziare, poi però, almeno in parte, il disegno fa un po’ la sua vita e la composizione finale nasce man mano.
-Che ruolo svolgono i titoli per te? E quando li assegni? Di solito i titoli vengono prima o dopo che hai finito il tuo lavoro?
I titolo vengono sempre dopo, non saprei dare un titolo in corso d’opera.
-Quale sarebbe il loro significato?
Completano il disegno.
-Quand’è che senti che un lavoro è finito?
Quando sento che rischio di rovinarlo.
-Ti capita di doverti fermare mentre stai lavorando, perché non hai in casa il tipo di pezzo o di materiale che ti serve, e di dover aspettare finché non lo trovi?
Certo
-Raccontaci come nasce un tuo lavoro. Parti da un’idea, una sensazione o che altro?
Ho due canali di lavoro che si muovono inizialmente in maniera parallela: da un lato, quando un momento, un luogo, una composizione mi emozionano particolarmente, faccio una foto e conservo quel momento per un lavoro; dall’altro in base al tema sul quale sto lavorando, a ripetizione, scatto fotografie e realizzo bozzetti con i soggetti che mi interessano. Queste due cose si incontrano nei miei lavori quando inizio a disegnare attraverso i pattern, i colori scelti, gli spazi vuoti.
-Hai fatto un percorso all’accademia di Belle Arti; come descriveresti questo viaggio, come ti sei trovata? Immaginiamo che questo percorso ti abbia lasciato qualcosa, degli strumenti di lavoro che utilizzi o delle influenze particolari.
Ho fatto l’Accademia di Brera in tre tappe: il triennio, il post-Erasmus e il biennio qualche anno più tardi. I primi due anni di triennio mi hanno dato moltissimo da tutti i punti di vista. Il ritorno dall’Erasmus è stato difficile e faticoso. Riprendere anni dopo il biennio invece è stato, ed è, estremamente utile sia dal punto di vista tecnico che umano.
INTERAZIONE CON IL MONDO ESTERNO
-I social sono ormai una piattaforma indispensabile per pubblicare i propri lavori ed essere conosciuti; tu come vivi questa dimensione, e soprattutto, quanto la reputi importante per ciò che fai?
Purtroppo sono un po’ stufa dei social, soprattutto dopo questi due anni di Covid. E’ indubbiamente uno strumento utile e importante, sarebbe bello che rimanesse uno strumento e non uno scopo, come ormai è da anni per moltissimi utenti.
-Sei stata a Milano, come ha influito su di te questa città? Il luogo in cui ti trovi ha un’influenza su di te e su ciò che produci?
Ho la maledizione di essere nata a Milano, quindi non riesco ad abbandonarla totalmente. Ho vissuto per qualche anno all’estero dopo l’Erasmus ma poi…alla fine sono tornata.
Ha una forte influenza sul mio lavoro perché in realtà ho un grandissimo interesse e attaccamento verso il mondo “naturale” e selvatico. Vivere a Milano mi fa costantemente ricordare quanto sia importante per la nostra salute, la salute della vita selvatica. Non penso abbia senso isolarsi fra le campagne per essere a contatto con la natura e raccontarla: vivere in una grande città ti dà l’opportunità di comunicare e discutere con gli altri il tuo messaggio. Il mio scopo è raccontare la crisi climatica con un linguaggio leggero, se facessi l’eremita non penso riuscirei a trasmetterlo più di tanto. E non sono brava con Instagram, quindi…
-Quali sono i tuoi prossimi obbiettivi e progetti?
Laurearmi, riprendere a lavorare con maggiore costanza e non abbandonare l’impegno politico-ecologico dei miei progetti artistici.
-Cosa significa per te essere artisti oggi?
Penso significhi non smettere mai di farsi domande, essere capaci di cambiare punto di vista, avere l’umiltà di continuare ad imparare e non sentirsi “arrivati”.
-Infine, ci indicheresti tre giovani artisti che stimi ed ammiri frequentanti o che hanno frequentato Brera?
Giulia Federico, Gloria Alberti, Pierfilippo Gatti.
Ringraziamo Fabiana Rosata per aver risposto alle nostre domande, potete continuare a seguirla sul suo profilo Instagram.
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